Downsizing – Vivere alla grande (recensione)

Ci si apetta una commediola leggera e divertente e invece… Offre talmente tanti spunti di riflessione e tocca molteplici corde dell’animo umano, fino a suscitare interrogativi sul senso della vita e sul significato della nostra presenza su questa terra.

Da vedere assolutamente.

Voto ⭐⭐⭐⭐⭐🔝

Aladdin (2019)

Uno dei film più belli che ho visto negli ultimi anni 💖

Ho avuto per tutto il tempo gli occhi spalancati dalla meraviglia! 👀 

Ogni fotogramma è un’esplosione di colori e poesia. L’atmosfera, le scenografie… Balletti stupendi, musiche anche; importantissimo il messaggio della canzone cantata da Jasmine.

Mi sono talmente emozionata che mi è venuta la pelle d’oca.

Ogni membro del cast è azzeccatissimo per il personaggio che interpreta.

Will Smith strepitoso! 💖

Stavolta la Disney si è davvero superata 👏👏

Stra consigliato! 🔝

Children who chase lost voices

Indubbiamente bello, i paesaggi, le leggende, la colonna sonora, però… mi ha lasciato tristezza e… mi ha fatto fare “pensieri da vecchia”.

Profondo, adatto solo a chi non ha paura di porsi certe domande o di soffermarsi su alcuni aspetti della vita e…

Non adatto ad un giovane pubblico. Netflix lo propone dai 13 anni in sù, ma dati i temi trattati, a mio parere, a quell’età non si è ancora pronti ad affrontare certe tematiche; un conto è guardare un’opera, un altro par di maniche è però comprenderla.

(Virk@)

Anche se il mondo finisse domani – mini review

Appena finito di vedere.
È bellissimo, anche se pure questo è un bel cazzotto nello stomaco. Nella sottotrama il messaggio è chiarissimo, ci fa capire quanto siamo fragili, effimeri, eppure, ogni nostra azione può cambiare le nostre vite, quelle degli altri, il mondo che ci circonda.
Sarà il periodo nero, non so, eppure a me viene da piangere.

Harmony

Uno di quei film che mentre lo guardi, fai fatica a capire dove vuole andare a parare, comprendi il tutto solo quando arriva l’epilogo.
Distopico, ma anche spaventosamente attuale; entra in sordina nelle corde dell’anima e sgancia la bomba: un dolore dal rumore sordo, ma che non lascia sopravvissuti.
Gli strascichi della visione di questo film rimarranno per lungo tempo, proprio come l’assurdità di una guerra, dove alla fine, non vince nessuno.


Virk@

“Il colore venuto dallo spazio” (Colour Out of Space)

Tratto dal romanzo di Howard Phillips Lovecraft, “Il colore venuto dallo spazio” (Colour Out of Space) è un film horror-fantascientifico; angosciante, disturbante, con riferimenti che richiamano alla cinematografia horror più macabra (almeno per me!), il tutto alleggerito con maestria per mezzo della follia che pervade i personaggi (non nascondo che a tratti ho riso).
Non ho potuto fare a meno di notare i riferimenti a “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, “L’Esorcista”, “The Human Centipede”.
Ad un certo punto del film, ci si deve distaccare dal proprio lato empatico; io personalmente, se l’avessi visto da sola, non sarei riuscita ad andare avanti… diciamo che ho continuato la visione per non dispiacere l’altro spettatore, ma devo ammettere che n’è valsa la pena.
Il film spazia dalla fantascienza, all’horror, toccando punti etici e filosofici; ci mostra la meravigliosità di un mondo a noi sconosciuto, ma che se mescolato a ciò che conosciamo, diviene il peggiore degli incubi.
Ci presenta la vita, nella sua perfezione; se non è snaturata, se non è contaminata, MODIFICATA in modo innaturale.

Ci espone la natura e il suo sopravvivere a qualunque cataclisma, puntando però i riflettori sull’essere umano, quello più fragile nell’evoluzione.
Ottima anche la scelta della location e la fotografia, quest’ultima cambia in base all’andamento della storia e al vissuto dei personaggi.
Un camaleontico Nicholas Cage, molto brava anche Madeleine Arthur (nel ruolo della figlia) e Julian Hilliard (nel ruolo del più piccolo della famiglia).

Consentitemi una nota “cattiva”: non riuscivo a capire il perché della scelta di Joely Richardson come madre della famiglia, la trovavo troppo distaccata e algida per collocarsi bene nel ruolo del personaggio, ma l’avanzare della storia ha dato risposta ai miei perché, rivelando questa scelta come la più giusta; diciamo che una donna dalle classiche fattezze della “mamma chioccia”, non avrebbe giovato al ruolo.
Degno di nota anche Elliot Knight, se non tanto per i dialoghi, acquista risalto grazie alla sua espressività.
Che dire… Voto? 4 stelle su 5, ma non guardatelo se siete particolarmente sensibili; mi porterò alcune scene nella testa per giorni 😓

Virk@

CORAGGIOSE SORELLE, andate in pace.

streghe

Oggi è la “Festa” delle streghe, il giorno in cui tutte le streghe uccise sul rogo vengono ricordate. La Santa Inquisizione scelse la data del 30 Aprile per le grandi esecuzioni annuali di massa, per “celebrare” ancor di più la Pasqua e la resurrezione di Cristo, così “diceva”,. poteva ulteriormente purificare il mondo, per facilitare il passaggio del messaggio del figlio di Dio. Peccato che… TROPPE delle donne UCCISE, non erano affatto streghe, ma semplicemente donne intelligenti, indipendenti, che spesso erano istruite e questo al patriarcato e alla Chiesa faceva paura, perché sovvertiva tutti i dogmi da loro imposti.
Alzate le bacchette, accendete i fuochi sacri, date il via ai riti celebrativi, TROPPE anime devono ancora ritrovare pace e giustizia.
Solidarietà e amore, verso queste pioniere del femminismo, CORAGGIOSE SORELLE 💖 andate in pace.
(Virk@)

Lacrime da versare

Se toccassi una candela

non mi brucerei,

anche sui pugnali non mi ferirei…

mentre il cuore di lei batte,

sento il mio che è fermo ormai,

è qualcosa di reale

questo vuoto che fa male

e di lacrime ne ho ancora da versare…

Se sfiorassi una candela

non mi brucerei,

il ghiaccio e il sole li confonderei…

il mio cuore è in mille pezzi

anche se non batte più,

il dolore sa di fiele,

è qualcosa di crudele,

è un vuoto che fa male

e di lacrime ne ho ancora da versare…

(da “La Sposa Cadavere”)

Sirene

Donne bellissime e seducenti, che apparivano tra le spume del mare chiedendo con un canto suadente ai marinai di interrompere la loro solitaria navigazione e di indugiare con loro….

In pochi hanno resistito all’invito che precedeva una fine crudele e il mancato ritorno di tanti marinai…

Mentre ch’io parlo, la nave alata veleggia;
ed ecco qual nebbia lontana
i lidi delle Sirene sorgere su dal mare…
Il vento cessato: nel cielo
gran quiete; nel mare in silenzio
il moto dell’onda ristagna:
certo un demonio perverso
ha l’aria calmata, il mar levigato e assonnato…
Caduto il vento, dormono i flutti in bonaccia.

L’origine delle sirene è antichissima.
Già nella mitologia ellenica le sirene erano creature incantatrici che attiravano con i loro irresistibili canti i malcapitati marinai verso le sponde, facendoli naufragare (vedi la leggenda dell’Ulisse di Omero), oppure erano identificate come mostri con un corpo di uccello e una testa di donna (nelle storie degli Argonauti). Famose erano le sirene che abitavano le coste della Magna Grecia: Partenope (che diede il nome all’antica città di Napoli), Ligea e Leucosia.

Nella tradizione europea dal medioevo in poi (dalla descrizione che troviamo nel “Liber Monstrum”, assumono le sembianze di meravigliose creature metà pesce e metà donna, e diventano creature buone, dolci e leggiadre, perdendo la primitiva connotazione malvagia.

Tutti i popoli costieri conoscono almeno una sirena, una creatura che li assiste lungo i viaggi per mare e nei momenti più brutti del lavoro di pescatori. La figura della sirena compare in molti bestiari medievali, accanto ad altre creature fantastiche come i draghi e gli unicorni. Secondo alcune leggende nordiche le sirene possono cambiare sembianze a contatto con la terra ferma, trasformando le pinne della coda in gambe e assumendo di nuovo fattezze ittiche al contatto con l’acqua.

Molte fiabe raccontano di sirene che vogliono diventare umane a tutti gli effetti, con gambe e braccia al posto della coda e delle pinne. La favola di Andersen, ripresa da Disney nel cartone animato del 1989 “La Sirenetta”, ha fatto della protagonista la più famosa delle sirene di tutti i tempi, un fanciulla graziosa ed innamorata della vita terrestre (e di un bel marinaio).

Narra la leggenda che Ercole staccò il corno ad Acheloo, il dio con corna e con la coda di serpente. Dalla ferita caddero dodici gocce (un’altra versione parla di sei) e da quelle gocce vennero fuori le prime sirene…

Lasciando per un attimo da parte le leggende, le origini del mito delle sirene sono oscure e discordanti: quando nacquero non erano donne-pesce, ma donne-uccello. I greci le descrivevano come immensi uccelli con testa di donna. E’ solo nel Medioevo che il Liber Monstruorum o il libro dei mostri parla delle sirene come donne-pesce.

In origine dunque esse avevano corpo d’uccello dai lunghi artigli, con grossi seni e volto di donna. Questa fisionomia ben si associa alla caratteristica del canto ammaliatore, essendo il canto elemento tipico degli uccelli e non degli esseri marini. Il loro nome deriverebbe da una radice sanscrita (svar=cielo) legata al significato di “splendore” (e quindi “attrazione”) oppure, secondo altri etimologi dalla base semitica “sjr”, che vuol dire cantare.

Come si sia passati poi dalla figura di donna-uccello a quello di donna-pesce, resta un mistero. Tra le ipotesi, un errore di trascrizione, dal latino ‘pennis’ (penne, piume) a ‘pinnis’ (pinne). Un’altra ipotesi è che il mito donna-uccello sia nato in paesi lontani dal mare, o in zone interne, una figura mitologica molto simile come raffigurazione e attitudine alle Arpie, per mutarsi poi in donna-pesce quando il mito delle sirene ha raggiunto culture rivierasche, proiettate verso il mare.

Il più noto riferimento alle sirene è forse quello tratto dall’Odissea, quando la maga Circe avverte Ulisse del pericolo che le sirene rappresentano con il loro canto ammaliatore e gli suggerisce di tappare le orecchie dei marinai con della cera. Ulisse, se vuole ascoltare questo canto, deve farsi legare saldamente all’albero della nave, ordinando ai marinai di non slegarlo, qualsiasi cosa egli dica od ordini loro. Con questo trucco, Ulisse può sentire il canto, pur scampando il pericolo.

Meno noto, l’incontro di Giasone e degli Argonauti con le sirene, di cui ci narra Apollonio Rodio ne ‘Le Argonautiche’. In questo caso fu Orfeo a salvare i marinai dal canto delle sirene, suonando a sua volta in maniera così melodiosa che gli uomini ascoltarono lui e ignorarono le sirene che, deluse e umiliate, si tolsero la vita gettandosi da una rupe.

Ma il mito delle sirene non si limita al bacino mediterraneo: è presente anche nelle mitologie scandinave, irlandesi e inglesi, tedesche, russe e in quelle del medio oriente e dei paesi asiatici. Spesso alla figura femminile si aggiungono anche figure maschili, come Tritone, figlio di Nettuno, nella mitologia greca, Ningyo in Giappone e Vatea, “il creatore”, in Polinesia.

Soprattutto in tempi remoti le sirene erano considerate esseri malevoli, portatrici di disgrazie. Rappresentavano il binomio ‘inganno-morte’, con il loro canto ammaliatore che attirava le navi sottocosta, verso scogli nascosti, per farle naufragare. Per alcuni le sirene erano reincarnazioni di spiriti respinti dall’Aldilà, esseri assetati di sangue che si cibavano dei marinai che riuscivano a nuotare fino a loro, senza affogare. Il loro canto soggiogava chiunque lo udisse, che ritornava però in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, una volta allontanatosi sufficientemente da non udire più il loro canto. Una forma, insomma, di follia temporanea.

Nei secoli la figura della sirena ha subito cambiamenti graduali, da simbolo dell’inganno mortale, a semplice frutto della fantasia di marinai, che raccontavano di averle incontrate, conseguenza questa dell’essere rimasti troppo a lungo in mare e di aver così perduto il senno. Le segnalazioni di avvistamenti sono proseguite fin quasi ai tempi nostri, mentre la figura della sirena si è trasformata in un simbolo di donna misteriosa, dotata di fascino magnetico, capace di risvegliare fantasie, spesso raffigurata con connotati sexy, quasi un simbolo erotico, oppure, come nella favola di Andersen, il simbolo dell’eterna lotta tra razionalità e istinto nel cammino dell’evoluzione spirituale: la conquista di un’anima che fa diventare umani e la perdita della coda, simbolo animale, con conseguente rinuncia all’ambiente e alla condizione originaria.

Leggende sulle sirene e sui tritoni esistono da sempre, le prime rappresentazioni e descrizioni risalgono all’ottavo secolo prima di Cristo e la loro immagine ha da sempre evocato mistero, bellezza ed erotismo tra artisti e scrittori di tutti i tempi. Già nella mitologia della Mesopotamia si parla di esseri anfibi, i cosiddetti Oannes. Le molte tavolette cuneiformi ritrovate parlano di sette saggi che giunsero nelle terre di Sumer più di 5.000 anni fa per istruire la razza umana. Questi esseri erano stati creati dagli Annunaki, che erano gli dei della mitologia mesopotamica.

Queste leggende sono simili ad altre di altri popoli. Anche Platone ci racconta nei suoi scritti di una storia che aveva sentito da Solone, inerente sette saggi venuti dal mare che avevano portato la sapienza nell’antico Egitto, negli albori della civiltà.

Anche nell’antico Giappone abbiamo i Kappas, che sono strani esseri con piedi e mani pinnate, che, anch’essi, vennero dall’Oceano Pacifico per istruire gli uomini. E qui, potremmo ricollegarci alle leggende relative mondi sommersi come quella di Atlantide e Lemuria.

I Babilonesi adoravano un dio sorto dalle acque che insegnava le arti e le scienze all’uomo. I Siriani adoravano una dea legata al potere della luna e delle maree: Atargatis. Questa dea che veniva rappresentata come una sirena,venne in seguito trasmutata in un pesce dopo che per la vergogna di aver dato alla luce un figlio umano lo abbandonò e uccise il padre.

Sia nella mitologia greca che in quella romana abbiamo frequenti descrizione di divinità marine, come ad esempio Poseidone o Nettuno, descritti come metà uomini e metà pesci. Anche Omero, nella sua Odissea, parla delle sirene e del loro ammaliante canto.

Nella mitologia tedesca, troviamo spesso citate le sirene, Meerfrau, e di Nix e di Nixe, abitanti le acque dolci, creature piuttosto infide con l’uomo che prima veniva ammaliato e poi incontrava la morte per affogamento.

Spostandoci più a nord ed esattamente in Irlanda, si ha notizia di sirene, Merrows o Muirruhgach, che vivevano su una terra asciutta che si trovava però sotto il mare che avevano il potere di passare attraverso l’acqua senza affogare. Tra questa popolazione vi erano donne bellissime e uomini, al contrario piuttosto bruttini, con nasi rossi, capelli e denti verdi e un forte debole per il brandy.

In Scandinavia e in Norvegia si può leggere una ricca mitologia popolata di tritoni e sirene. Gli antichi norvegesi dicevano che appena fuori dall’acqua, le sirene potevano diventare donne, ma una volta ritornate nel mare, riassumevano il loro aspetto iniziale. Hanno dei lunghissimi capelli con colori decisamente strani, per farli confondere con le alghe. Dai loro capelli escono brillanti, gemme, perle e pietre preziose. Tutte le sirene hanno denti normali, ma dietro questi hanno denti affilatissimi e aguzzi; li usano per masticare pesci, alghe e anche carne umana. In Norvegia, poi, le sirene sono descritte come creature spesso crudeli e il loro avvistamento non era ritenuto di buon auspicio.

Nella mitologia russa sono presenti creature marine come il Dio dell’acqua e le sue figlie ma si narra anche di uno spirito maschile dell’acqua, Vodyany, che inseguiva marinai e pescatori e ninfe dal carattere piuttosto maligno che facevano affogare i nuotatori.

I Giapponesi credevano in Ningyo, un pesce con testa umana, mentre in Polinesia il creatore, Vatea, veniva dipinto come mezzo umano e mezzo delfino.

In tutte le culture ci sono le sirene ed i miti e leggende ad esse associate continuano a vivere e a popolare l’immaginario collettivo. Ecco le più note:

Intorno all’isola di Man vivono le Ben Varrey, sirene particolarmente abili.
Nei mari della Scozia si incontra Ceasg, sirena dalla coda da salmone che, se catturata, in cambio della libertà esaudisce tre desideri.
Le gelide acqua della Norvegia e della Svezia ospitano la Havfrue e l’Havmand, rispettivamente la sirena e il tritone della Scandinavia. La sirena è incostante e dispettosa, la sua apparizione indica tempesta o pesca misera. Spesso le navi antiche avevano sulla prua una polena (figura di legno scolpita) a forma di sirena, come se gli uomini di mare volessero scongiurare l’ostilità di sirene come la Havfrue.
Orejona è una sirena con caratteristiche anfibie: ha gambe da donna, ma mani palmate e branchie. Orejona è una sirena aliena, scesa da una navicella spaziale d’oro e sbarcata nel lago di Titicaca. Nelle grotte marine spesso abitano delle sirene bellissime come lei, ma altrettanto crudeli e spietate: amano infatti cibarsi di carne umana.

Le Ningyo sono sirene del Giappone, molto timide e innocue.

In Thailandia vive la Duyugun, sirena dai lunghi capelli; esse non sono attraenti e la prima di loro si dice che fosse una bambina molto disubbidiente, trasformata dagli spiriti in sirena.
In Nigeria vive Mami Wata, una sirena che dà poteri magici a chi la vede.
Nel mar Rosso nuotano le Memozini. Secondo la leggenda, queste sirene sono le figlie dei soldati del faraone Ramses, annegati e sposati poi con delle sirene.
Nelle acque del Galles nuotano le bruttissime Morforwyn, sirene con la bocca larga, senza naso, senza orecchie, con braccia corte e zampe palmate: vengono considerate la personificazione delle onde in tempesta.

In Italia si nasconde in una conchiglia enorme Murgen, nata dalle acque, una sirena che la notte fra il 24-25 Gennaio esce dalle acque e predice il futuro. Sotto il faro di Messina abita una sirena che si fa vedere da poche persone e appunto per questo di lei si sa poco. Di fronte a Lecce, dovrebbe esserci il castello sottomarino della regina delle sirene, il cui immenso giardino è coltivato dai marinai annegati.
In Guyana, la dea delle acque si chiama Amana e può assumere qualsiasi forma: è lei che ha insegnato la magia ai primi maghi e alle prime streghe.

Con lo sviluppo della Cristianità le sirene, al contrario di tutti gli altri dei, hanno continuato a vivere, forse perché non erano considerate come una minaccia per i valori cristiani, o forse perché, come sostengono alcuni, la sirena serviva alla cristianità come emblema morale del peccato.

Con l’avvento dell’Illuminismo però le sirene vennero definitivamente catalogate nel mondo del fantastico e tutte le testimonianze raccolte e gli avvistamenti di queste creature marine vennero considerate il frutto della fantasia di uomini che erano stati per troppo tempo in mare.
La figura della sirena continua comunque ad esistere, specie durante il Romanticismo, e molti sono i casi riportati di avvistamento anche durante il diciannovesimo secolo.
In letteratura, e nell’immaginario collettivo la sirena è diventata una metafora per descrivere donne avvenenti e magnetiche nonché emblema della doppia natura umana divisa tra intelletto e impulso. La modernità, infatti, la ritrae come una creatura desiderosa di guadagnare un’anima per diventare umana perdendo per sempre il suo unico connotato animale la coda e la possibilità di vivere in mare, come narra Hans Andersen.

Nel nostro secolo il credere nella possibilità che le sirene esistano o il non crederci affatto sembra non avere più tanta importanza. Ma la sirena attira sempre un certo interesse perché rimane comunque una creatura misteriosa.
Il rapporto e la considerazione che hanno avuto gli uomini durante i secoli nei sui confronti rispecchia il modo in cui gli stessi uomini hanno guardato al mare.
Il mare come fonte di vita e di morte ma sempre un mare che continua ad affascinare per la sua bellezza, la sua dolcezza, la sua forza e il mistero che non sembra mai del tutto svelato.

Parlando di tempi più recenti, i passeggeri di un mercantile dichiararono che esiste un serpente nel golfo di Aden che ha la testa simile a quella di un bulldog. Molti anni prima erano stati ripescati nello stesso golfo due sirenoidi, uno di sesso maschile ed uno di sesso femminile (nella foto sottostante).

Per molti si trattò di una sofisticata burla, per altri, dell’unica vera prova dell’esistenza di strani esseri, simili a sirene, nei mari più inesplorati. D’altronde, peccheremmo di presunzione se pensassimo di conoscere al 100 % le specie viventi presenti sulla Terra. Infatti, di tanto in tanto, gli zoologi scoprono specie animali che si pensava non fossero mai esistite o fossero ormai estinte. Noi non sappiamo se i sirenoidi di Aden siano o non siano stati reali, tuttavia non si più escludere a priori nessuna possibilità. Di questi sirenoidi ora non ne rimane più traccia. Questo complica ancor di più le cose. Resta il fatto che le sirene, così come tanti altri esseri fantastici, rimangono un mistero affascinante, capace ancora di farci sognare.

Si racconta che le sirene, malgrado l’aspetto dolce e seducente, siano spiriti di morti reincarnati perché respinti dall’Aldilà; non si considerano non-morti, ma sono ugualmente maligne ed assetate di sangue.

Esse attendono le loro prede appostate sugli scogli: quando una nave si avvicina, ne attirano a sè l’equipaggio con la magia del loro canto e ne fanno un orrido banchetto.

Il canto delle Sirene è udible sino a 200 metri; tutti gli uomini entro questo raggio ne restano incantati… abbandonano qualunque azione e si gettano a nuoto per raggiungerle. Se non annegano prima, si lasciano poi uccidere senza opporre resistenza.
Le Sirene continuano a cantare finché la nave si trova a portata d’orecchie ma, appena smettono di cantare, tutti coloro che ne erano stati stregati tornano normali.
Coloro che si tappano in tempo le orecchie con della cera, o che vengono protetti con qualche incantesimo, restano totalmente insensibili alla magia del canto. Le donne, naturalmente, sono immuni dall’incantamento delle sirene.

 

Il canto delle sirene
(F. De Gregori)

Non sarà il canto delle sirene che ci innamorerà,
noi lo conosciamo bene, l’abbiamo sentito già,
e nemmeno la mano affilata,
di un uomo o di una divinità.
Non sarà il canto delle sirene
in una notte senza lume,
a riportarci sulle nostre tracce,
dove l’oceano risale il fiume,
dove si calmano le onde,
dove si spegne il rumore.
Non sarà il canto delle sirene, ascoltaci o Signore.
Mio padre era un marinaio, conosceva le città,
mio padre era un marinaio, partito molti mesi fa.
Mio figlio non lo conosce, mio figlio non lo saprà,
mio padre era un marinaio, partito molti mesi fa.
Non sarà il canto delle sirene, nel girone terrestre,
ad insegnarci quale ritorno, attraverso alle tempeste,
quando la bussola si incanta, quando si pianta il motore.
Non sarà il canto delle sirene a addormentarci il cuore,
quando l’occhio di Ismaele
si affaccia da dietro il sole,
e nella schiuma della nostra scia
qualcosa appare e scompare.
Non sarà il canto delle sirene che non ci farà guardare.
Mio padre era un marinaio e andava a navigare,
se l’è portato il vento, se l’è portato il mare.
Mio padre era un marinaio, girava le città,
mio figlio non le conosce, ma le conoscerà.
Non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà,
l’abbiamo sentito bene, l’abbiamo sentito già,
ma sarà il coro delle nostre donne,
da una spiaggia di sassi.
Sarà la voce delle nostre donne, a guidare i nostri passi,
i nostri passi nel vento, e il vento ci prende per vela.
Sarà di ferro la sabbia, sarà di fuoco la terra.
Ascoltaci o Signore, perdonaci la vita intera.
Mio padre era un marinaio, conosceva le città,
partito il mese di febbraio di mille anni fa,
mio figlio non lo ricorda, ma lo ricorderà,
mio padre era un marinaio, mio figlio lo sarà.

Una tradizione accolta da Apollodoro, il mitologo, nella sua Biblioteca, narra che Orfeo, dalla nave degli Argonauti, cantò con più dolcezza delle sirene, e che queste si precipitarono in mare e trasformarono in rocce: perché la loro legge era di morire, se qualcuno non avesse subito il loro fascino. Anche la sfinge si precipitò dalla rupe, quando le indovinarono l’enigma.
Nel secolo VI, una sirena fu catturata e battezzata nel Galles settentrionale, e figurò come santa in certi almanacchi antichi, sotto il nome di Murgen. Un’altra, nel 1403, passò per la breccia di una diga, e abitò in Haarlem fino al giorno della sua morte. Nessuno la capiva; ma le insegnarono a filare, e venerava per istinto la croce. Un cronista del secolo XVI ragionò che non era pesce, perché sapeva filare, e non era donna perché poteva vivere nell’acqua.
L’inglese distingue la sirena classica (siren) da quelle che hanno coda di pesce (mermaids). Sulla formazione di quest’ultima immagine avranno influito per analogia i tritoni, divinità del seguito di Poseidone.
Nel decimo libro della Repubblica, otto sirene presiedono alla rivoluzione degli otto cieli concentrici.
« Sirena: preteso animale marino », leggiamo in un dizionario brutale. (Jorge Luis Borges, Manuale di zoologia fantastica, Einaudi, 1962)

Storie di Sirene

Io dunque tutto le dissi per ordine, e poi mi parlava parole Circe sovrana: “Così tutto questo è compiuto; ma ora tu ascolta come io ti parlo: te lo rammenterà ancora il dio.

Alle Sirene prima verrai, che gli uomini stregano tutti, chi le avvicina.

Chi ignaro approda e ascolta la voce delle Sirene, mai più la sposa e i piccoli figli, tornato a casa, festosi l’attorniano, ma le Sirene col canto armonioso stregano, sedute sul prato: pullula in giro la riva di scheletri umani marcenti; sull’ossa le carni si disfano.

Ma fuggi e tura gli orecchi ai compagni, cera sciogliendo profumo di miele, perché nessuno di loro le senta: tu invece, se ti piacesse ascoltare, fatti legare nell’agile nave i piedi e le mani ritto sulla scarpa dell’albero, a questo le corde ti attacchino, sicché tu goda ascoltando la voce delle Sirene”…

(da “Odissea” di Omero)

La leggenda del pescatore e della ragazza che divenne Sirena

Sulla costa della nostra penisola viveva una coppia di giovani innamorati: Rosa e Giuseppe. Giuseppe un giorno non ritornò dalla pesca e Rosa era molto preoccupata; uscì dunque a cercarlo, ma scivolò e cadde in mare.
Ad un tratto udì strane voci: un gruppo di sirene nuotava verso di lei e in un attimo la tramutarono in sirena. Fecero così per gelosia: si erano infatti invaghite del pescatore il quale, pur essendo incuriosito dal loro aspetto ed ammaliato dal loro canto, non poteva certo amarle: nessuna donna era per lui meravigliosa quanto Rosa.

Intanto lei, trasformata in sirena, si sentiva triste ed infelice; il suo nuovo corpo, simile a quello di un pesce dalla vita in giù, non le piaceva affatto e se ne vergognava. Per questa ragione, le altre sirene la canzonavano continuamente, facendola vergognare ancora di più.
L’unica cosa che Rosa apprezzava del proprio stato era la voce, persino più incantevole di quella delle altre sirene e così delicatamente dolce.
Ma, proprio a causa di quella bellissima voce, le altre presero ad invidiarla…
Accadde che un giorno, mentre Rosa cantava la sua più bella melodia, le sirene invidiose le fecero una magia: ogni volta che avesse cantato, da allora in poi, sarebbe diventata un po’ più animale e un po’ meno umana. Se poi avesse continuato abbastanza a lungo, alla fine si sarebbe tramutata in un pesce verde.
Rosa, tuttavia, non se la sentiva di rinunciare a quell’unica consolazione e non si curava molto di questa magia. “Quando sarò diventata un pesce non potrò più pensare” – si diceva – “così eviterò di sentirmi infelice”.
Continuò a cantare incurante del fatto che, ogni volta, la trasformazione del suo corpo in quello di un pesce procedeva un pochino di più.

Ma un giorno, mentre cantava seduta su uno scoglio – ormai più pesce che umana benché ancora dotata di ragione, dato che la metamorfosi ancora non era arrivata alla testa – vide Giuseppe su una barca carica di gioielli. Il pescatore aveva trovato quel tesoro su un’isola deserta ed aveva deciso di donarlo ad una nave mercantile dato che, avendo perso Rosa, null’altro gli interessava.
Appena lo riconobbe, Rosa si tuffò in mare e, avviconatasi all’imbarcazione, gli disse : “Giuseppe, se darai quei gioielli alle sirene, mi lasceranno libera di venire con te”.
Giuseppe, che a stento la riconobbe, quando si accorse che quello strano animale era Rosa, si precipitò dalle sirene e donò loro tutto quel magnifico tesoro.
Le sirene, allora, lasciarono libera Rosa la quale, appena salì sulla barca, tornò alla propria originaria bellezza.

La Sirena Innamorata

Secondo le vecchie leggende irlandesi le sirene portano sfortuna se i marinai le incontrano in alto mare, in tal caso verranno delle brutte tempeste o succederà comunque qualcosa di male.
C’è al riguardo una vecchia e curiosa leggenda irlandese:
C’era una volta una nave in viaggio per l’America e fu avvistata una sirena che la seguiva.
Dopo breve tempo venne una tempesta e il capitano disse:
“Questa sirena si deve essere innamorata di un marinaio dell’equipaggio, per questo ci segue; se sapessimo chi è potremmo darglielo e salvare le nostre vite.”
Così, tirarono a sorte, e venne estratto il nome di un uomo ma il capitano si sentì dispiaciuto per lui e disse che gli avrebbe dato un’altra possibilità.
Il giorno dopo la sirena li seguiva ancora, aveva un aria tristissima poiché le negavano il desiderio del suo cuore e la tempesta era ancora più forte e il vento ululava come il lamento di un anima in pena.
Allora tirarono di nuovo a sorte e venne estratto il nome dello stesso uomo.
Ma il capitano disse che gli avrebbe dato una terza possibilità.
Tuttavia il terzo giorno venne estratto ancora il suo nome.
Quando i suoi compagni lo stavano per buttare infine nelle acque ruggenti lui disse: “lasciatemi solo per un po’”, andò alla poppa della nave e cominciò a cantare una semplice canzone popolare irlandese ma così bella e armoniosa era la sua voce che la sirena ne rimase incantata e mentre lui cantava lei assunse un espressione assorta e malinconica ed anche il mare si calmò con lei.
Così il marinaio continuò a cantare e a cantare mettendo nel canto tutta la sua anima finché la nave giunse in America. Ma il marinaio da allora non cantò più.

La Sirenetta

Un pescatore era andato a pescare sul lago con la sua rete a strascico in una notte di luna piena.
Sentì la sua rete divenire pesante e riuscì a tirarla su solo con difficoltà:
Quando la luna sbucò dalle nuvole vide che aveva catturato una sirenetta.
A guardarla sembrava una creatura gentile e di meravigliosa bellezza.
Aveva udito dai vecchi del villaggio che queste sirenette di lago venivano su dalle loro fresche case sottomarine una volta ogni cento anni, per ammirare la luna e per crescere.
Siccome quella che vedeva sembrava circa della grandezza di una ragazzina di 12 anni l’uomo non poté immaginare di che antica età fosse veramente.
Le parlò perché non ne era affatto spaventato e gli sembrò che lo pregasse di lasciarla andare ma la sua lingua gli suonava come il rumore del vento nel canneto lacustre.
Sembrava una creatura tanto graziosa e delicata che in un primo momento il pescatore ne ebbe pietà e pensò di liberarla subito per non farla soffrire ma poi si disse che doveva prima almeno mostrarla ai suoi figli ed infine il suo pensiero andò ai ricchi che vivevano nel castello e a quanti soldi gli avrebbero dato per poterla mostrare nei loro acquari.
Allora il suo cuore si indurì ed iniziò a remare verso riva.
La sirenetta stese un braccio fuori dalla rete ed indicò con aria desolata più e più volte la luna che stava impallidendo nel cielo, poi gli mise una mano sul braccio…
“Come fredda spuma era il suo tocco” raccontò in seguito il pescatore; ma sembrò che il suo calore umano la ferisse perché subito si ritrasse e si rannicchiò nel fondo della barca coprendosi coi suoi lunghi capelli verdi.
Il pescatore temeva che la luce del giorno potesse essere troppo forte per lei e la coprì con alghe umide.
Il sole era sorto quando la barca arrivò a riva.
Allora l’uomo portò la barca sulla spiaggia e levò via le alghe con le quali aveva coperto la sirenetta.
Ma la rete era vuota, non restava altro di lei che una macchia umida.
Il braccio del pescatore che lei gli aveva toccato gli rimase freddo come il ghiaccio per tutto il resto della vita niente poté più scaldarlo.

La Giovane Sirena

Sirena, la leggendaria sirena di Guam, era un tempo una giovane ragazza che viveva nella regione di Agana vicino al fiume Minondo dove fresche acque di sorgente che dividono la città di Agana incontrano l’oceano alla foce del fiume.
Amava molto l’acqua ed era solita andare a nuotare nel fiume ogni volta che poteva rubare un momento dai suoi doveri per soddisfare la sua più grande passione.
Un giorno fatale, la mamma di Sirena la mandò a prendere gusci di noci di cocco da usare al posto del carbone per la stufa.
Sirena però, dimentica dell’ora e dei suoi doveri, non poté resistere alla tentazione delle fresche acque del fiume.
Là nuotò a lungo, mentre la sua mamma la chiamava con impazienza.
La madrina di Sirena si trovava per caso a visitare quel posto, e mentre la madre di Sirena adirata con lei la malediceva con queste parole: “Siccome ami l’acqua più di ogni altra cosa, allora dovresti diventare un pesce” la madrina subito disse: “Rimanga però umana la parte di te che mi appartiene”.
Sirena non tornò mai più a casa, perché avvertendo una strana sensazione mentre nuotava, scoprì presto che dalla vita in giù era diventata in parte pesce.
Sua madre, pentitasi della sua maledizione, non poté però disfarla.
Sirena, dicendo addio ai suoi cari, nuotò fin nell’oceano Pacifico. Dalla sua sparizione i marinai hanno testimoniato di averla vista in diverse parti del mondo. Un marinaio dice di averla vista prendere il sole su uno scoglio di un isoletta oceanica. Secondo la leggenda, potrebbe essere catturata solo con una rete di capelli umani.

La Sirena del Lago

Al tempo in cui non c’era altro nell’ Harz che foresta vergine, un cavaliere vi andò per cacciare.
Prima di potersi orientare bene, perse la strada, e vagò nella foresta per lunghi giorni senza riuscire a ritrovare il cammino.
Finalmente arrivò ad un meraviglioso castello situato in un campo molto vasto e circondato dall’acqua.
Un sentiero portava ad un ponticello, che era stato chiuso.
Allora il cavaliere chiamò; fischiò; aspettò.
Ma non udì niente dall’interno.
Era come se il castello fosse abbandonato.
“Aspetta” pensò. “Il castello non può essere vuoto. Qualcuno certo verrà tra poco. Mi siederò qui e aspetterò finché qualcuno arriverà.” Così si sedette e aspettò ma il castello rimase silenzioso. Alla fine perse la pazienza e proprio mentre era sul punto di andarsene vide una bellissima ragazza emergere dalla foresta e camminare verso il ponte.
“Aspetta,” pensò. “Lei certo conosce questo posto, infatti sta per entrarvi.” E questo fu ciò che avvenne.
Quando fu a pochi passi da lui, le parlò, dicendole che aveva perso la strada nella foresta dell’ Harz, che vi aveva vagato per otto lunghi giorni e che desiderava finalmente riposare sotto un tetto.
Era rimasto lì per tre ore chiedendo il permesso di entrare ma nessuno gli si era mostrato o si era fatto sentire. Quindi, le chiedeva se sarebbe stata tanto gentile da chiedere di farlo entrare nel castello.
Lei disse che non sarebbe stato affatto necessario, poteva entrare con lei dato che era la padrona del castello.
Detto questo premette una pietra posta davanti al ponticello che immediatamente discese permettendo il passaggio.
Poi prese una grande chiave ed aprì il cancello. Insieme attraversarono un grande cortile ed entrarono nel castello.
Portò il cavaliere in una bella stanza riccamente arredata e gli disse di mettersi comodo. Gli disse inoltre che prima di ogni altra cosa, voleva andare a preparargli una cena adeguata. Certo aveva bisogno di qualcosa di caldo da mettere sotto i denti, gli disse, aggiungendo che anche lei aveva fame. Siccome non aveva servitori, avrebbe dovuto occuparsi di tutto lei stessa.
Detto questo lasciò la stanza. Poco tempo dopo ritornò con un arrosto dall’aspetto veramente appetitoso, dei dolci e molte altre cose deliziose. Apparecchiò la tavola e lo invitò a servirsi liberamente. Il cavaliere non ebbe bisogno di farselo ripetere due volte.
Dopo aver finito di mangiare si sedettero l’uno di fronte all’altra intraprendendo una piacevole conversazione. Alla fine il cavaliere le disse che si sentiva molto dispiaciuto per lei perché viveva in quel posto tutta sola osservando che il tempo non le doveva passare mai senza alcuna distrazione e divertimento.
“Oh no,” lei disse.”Il tempo non passa affatto lentamente per me e qui ho dei divertimenti davvero eccitanti e piacevoli!”
Il cavaliere non capì come ciò fosse possibile ma poiché la fanciulla non volle aggiungere altro gli sembrò scortese insistere. Però le disse che se le avesse fatto piacere sarebbe comunque rimasto con lei qualche giorno per farle compagnia. La ragazza gli rispose che ne sarebbe stata felice. L’ospite rimase uno, due, tre giorni e finirono col trovarsi così bene l’uno con l’altra che alla fine il cavaliere le chiese di diventare sua moglie. Lei gli rispose che ne sarebbe stata veramente felice e che sarebbe stata sua per sempre, a condizione però che lui le concedesse ogni venerdì la libertà di andarsene dove lei avesse voluto senza mai tentare di seguirla o anche solo di indagare dove fosse andata né cosa avesse fatto in quel giorno.
Al cavaliere naturalmente questa condizione non piacque affatto ma quella ragazza era per lui così incantevole e aveva su di lui un fascino talmente intenso e profondo che pur di averla avrebbe accettato qualsiasi cosa.
Questo dunque lui le concesse e così si sposarono.
Vissero assieme molto tempo e molto si amarono. Ebbero anche dei bei figlioli e nulla mancava alla loro felicità.
Ma un giorno venne al castello uno strano cavaliere e gli fu dato alloggio. Era un venerdì ed il cavaliere chiese come mai la signora del castello non si facesse vedere; il padrone gli rispose che sua moglie non era mai in casa di venerdì e gli raccontò della sua promessa e come in osservanza a tale promessa non l’avesse mai cercata in quel giorno.
Allora lo strano cavaliere osservò che nessuna moglie si sarebbe mai comportata in quel modo e insinuò pur senza affermarlo direttamente che nessun marito avrebbe mai potuto accettare un simile patto.
Da questa conversazione il padrone del castello ne fu così scosso da decidere di fare subito ciò che in cuor suo sapeva avrebbe finito per fare prima o poi ma aveva sempre rimandato: andò immediatamente alla ricerca di sua moglie.
A lungo, molto a lungo la cercò nella foresta ma senza alcun esito e al far della sera stava per ritornarsene inquieto e scoraggiato al castello quando in lontananza sentì come un canto armonioso…
Seguendolo arrivò ad un piccolo laghetto che non aveva mai visto, ed era assai strano poiché era convinto di conoscere ormai bene la foresta intorno al castello.
Nel laghetto c’era sua moglie che stava nuotando assieme ad alcune ragazze che non aveva mai visto.
Giocavano e cantavano nell’acqua e sembravano divertirsi moltissimo, ma osservandole meglio si rese conto all’improvviso con un tuffo al cuore che tutte, ma proprio tutte, sua moglie compresa, erano solo in parte umane poiché al posto dei fianchi e delle gambe avevano una lunga coda di pesce.
Quando la fanciulla del lago vide suo marito non gli parlò affatto limitandosi a fissarlo lungamente con uno sguardo serio e tristissimo, poi si tuffò con le altre sirene.
Il signore del castello per la fortissima emozione perse i sensi.
Quando rinvenne il lago non c’era più.

La Principessa Sirena

Tanto tempo fa In un bellissimo castello viveva una principessa.
Il suo castello era ricco e sontuoso con degli affreschi incantevoli e meravigliosi che raffiguravano ogni sorta di creature fantastiche e mitologiche: c’erano centauri, satiri, ninfe, sirene così squisitamente dipinti da sembrare vivi e reali.
La principessa almeno all’apparenza era tranquilla e riflessiva.
Come nelle favole aveva la pelle liscia e bella come i petali delle rose di maggio, gli occhi azzurri come il fondo del mare e dei piedini piccoli e graziosi come Cenerentola.
Ma non era la solita principessa delle favole; in fondo al cuore, anche se non l’avrebbe mai ammesso nemmeno a sé stessa, lei odiava il castello squallidamente meraviglioso in cui viveva e tutte le convenzioni, le pompe e le etichette a cui doveva sempre sottostare, odiava il principe bello ma banale che avrebbe dovuto sposare per ragion di stato, odiava babbo re e mamma regina quando le facevano notare quanto doveva essere felice e soddisfatta per tutto ciò che aveva e avrebbe avuto in futuro.
Ma al di sopra di tutto e di tutti la nostra dolce principessina si odiava, odiava sé stessa perché sapeva che avrebbe sempre subito tutto ciò senza mai ribellarsi.
Aveva infatti un cuore ribelle e selvaggio e tuttavia, forse anche perché era stata troppo viziata, era di carattere debole.
Quindi si limitava a cercare la libertà solo fuggendo nei suoi sogni invece di lottare per averne almeno un po’ nella realtà.
Una notte di plenilunio si svegliò di soprassalto da sogni strani e vagamente inquietanti che tuttavia riusciva a ricordare solo vagamente e ancora nel dormiveglia le parve di udire un canto sommesso ma dolcissimo.
Si affacciò alla finestra della torre che dava sul mare e non molto lontano le parve di vedere su una piccola spiaggia un gruppetto di ragazzi e ragazze tutti completamente nudi che danzavano e cantavano in maniera così aggraziata e selvaggia allo stesso tempo che ne rimase profondamente turbata.
Così, per vedere meglio, si sporse un po’ dalla finestra ma i ragazzi sembrarono vederla e subito fuggirono tutti tuffandosi nel mare oscuro.
Poiché nessuno riapparve dalle onde lei pensò di aver avuto una allucinazione, causata magari dalla sua fervida fantasia.
La mattina dopo si convinse di averli solamente sognati.
I giorni successivi comunque non ebbe nemmeno il tempo di ripensarci, fervevano i preparativi per il suo matrimonio imminente e lei si sentiva del tutto rassegnata a quello che le appariva il suo dovere e destino.
Si era spinta persino a sorridere piacevolmente al principe, il quale ne fu profondamente felice dato che la felicità, a volte, è l’incapacità di vedere al fondo delle cose.
La notte prima del giorno del matrimonio, però, non riuscì assolutamente a prendere sonno tanto si sentiva inquieta ed infelice; una parte di lei voleva disperatamente fuggire, fuggire da tutto, da tutti e per sempre.
Si avvicinò alla finestra della torre pensando vagamente di buttarsi di sotto ma sapendo allo stesso tempo benissimo che anche il suo suicidio l’avrebbe solamente sognato.
Sarebbe stata una brava principessa alla fine, pensò mestamente.
Fu allora che vide di nuovo (Oh, si, questa volta ne era certa!) i ragazzi e le ragazze che come l’altra volta, danzavano nudi sulla spiaggetta.
Ma questa volta il loro canto non era sommesso ma si faceva di momento in momento più forte e esultante: un inno alla libertà e alla gioia.
La principessa ascoltandolo ne rimase rapita.
Fu allora che una ragazza della spiaggetta le fece un saluto con la mano ma più che un saluto sembrava un esplicito invito.
La principessa si sentiva come preda di un incantesimo a cui non poteva in alcun modo resistere, allora si spogliò completamente, aprì la porta della sua camera e discese la scalinata della torre mentre le prime luci dell’alba rischiaravano il castello.

Arrivata di sotto incontrò il ciambellano di corte, quello più ligio ad ogni regola e etichetta, comprese quelle più bizzarre e stupide.
Vedendola andare in giro tutta nuda, invece di scandalizzarsi a morte, le sorrise con ammirazione dicendole che avrebbe dovuto stare sempre così, poiché qualsiasi abito non poteva che offuscare la sua naturale bellezza.
Un bel complimento davvero!
Ma certo se non fosse rimasto anche lui incantato da quell’armonia irresistibile avrebbe fatto ben altri commenti!
E fu così che la principessa attraversò tutto il paese; la gente, quella almeno che non era troppo presa dall’incantesimo per notarla, si limitava in genere a farle qualche complimento gentile, sul tipo di come fosse carina e graziosa al naturale la loro principessa, quando invece in altri paesi c’erano certe principotte così rozze ma così rozze che anche coi vestiti più belli e più ricchi facevano venir voglia di girarsi da un’altra parte!
I bambini poi la seguivano allegramente e i più piccini curiosi la segnavano a dito.
Dopo una bella camminata la principessa giunse infine alla piccola spiaggia e felice si unì alla danza cantando come meglio poteva ed anche se non riusciva in alcun modo a rivaleggiare con quelle splendide voci non ne fu minimamente invidiosa.
E mentre danzavano e cantavano ad ogni giro di danza si dirigevano tutti verso il mare.
Una ragazza, appoggiatasi ad uno scoglio per guardare la principessa, si bagnò appena le gambe che subito le si trasformarono in una graziosa coda che assomigliava vagamente a quella di un delfino.
Lo stesso accadde a tutti gli altri tritoni e sirene.
La principessa vi entrò per ultima ma a lei non successe proprio niente.
Allora un tritone le lanciò una pelle di pesce dai bellissimi colori iridescenti, questa sembrò prendere vita, si dimenò mentre le si attaccava addosso, poi ridivenne immobile coprendola totalmente dai fianchi in giù.
Ma dopo poco prese a fare dei movimenti strani e inquietanti: era come se le stesse divorando le gambe e parte dei fianchi; allora la principessa urlò e pianse ma più per la paura che per il dolore perché stranamente ne provava solo un poco.
E alla fine anche quella lieve sofferenza cessò.
Ora una coda lucente guizzava nel punto in cui erano state le gambe. La nuova sirena fissò stupita e meravigliata quella che da ora in poi sarebbe stata la sua coda, si accorse che molti del paese erano venuti sulla spiaggia, attratti dal coro meraviglioso e la stavano guardando, perciò si rassettò i capelli scompigliati e si lasciò ammirare, permise anche ad alcuni ragazzini curiosi di carezzarle la coda.
Poi si tuffò anche lei nelle onde del mare,inseguendo felice i suoi simili. Mentre nuotava sentì che qualcosa nella testa le si faceva leggero, leggero e ebbe appena il tempo di voltarsi un ultima volta verso lo splendido castello dove era vissuta fino ad allora prima di perdere definitivamente ogni ricordo della sua vita passata. Non ricordava nemmeno più di aver avuto un nome, ma anche se lo avesse ricordato non l’avrebbe più voluto, una sirena non può avere un nome che la leghi. E se ne andò nuotando verso la libertà.

Ondina, la Sirenetta e L’Arcobaleno

Nelle acque trasparenti e cristalline del lago di Carezza, che gli antichi chiamavano lago dell’arcobaleno, si vedono riflessi tutti i colori dell’iride. Narra la leggenda che tanto tempo fa – quando le sorgenti erano limpide e le acque non contaminate ospitavano ninfe e fate gentili – in questo lago viveva una deliziosa creatura di nome Ondina. Un po’ fata e un po’ sirena, Ondina abitava la profondità delle acque ed emergeva soltanto attorno al mezzogiorno, per assaporare il tepore dei raggi del sole. Un giorno, i suoi capelli biondi e i suoi occhi blu furono notati da un mago malvagio, padrone del bosco, che subito s’innamorò di lei. Ma appena si avvicinò, Ondina scomparve sott’acqua, lasciando il mago con un palmo di naso. Come fare ad attirare di nuovo la ninfa in superficie? Dopo averci pensato a lungo, il mago decise di creare un arcobaleno e di spacciarsi per un mercante di gioielli. I colori sospesi nell’aria e le gemme, pensò, avrebbero attirato certamente la fanciulla. Poi lui l’avrebbe tenuta per sempre prigioniera nel bosco. In effetti, appena l’estremità del grande arcobaleno venne a posarsi sulle acque del lago, Ondina comparve curiosa e forse sarebbe caduta nel tranello se il mago, impaziente di afferrarla, non fosse inciampato, perdendo i baffi e la barba finta del travestimento. La ragazza lo riconobbe subito e con un’allegra risata si rituffò e scomparve. Il mago capì che non sarebbe mai più riuscito a ingannarla e preso da furore cominciò a sradicare alberi e a lanciare macigni nel lago. Urlava come un ossesso, disperato. Infine afferrò l’arcobaleno e, dopo averlo frantumato in mille pezzi, lo scaraventò in acqua. Ondina, al riparo nel suo rifugio segreto, vide tutta la scena e quando il mago sconfitto si ritirò nella selva, riemerse per raccogliere i frammenti dell’arcobaleno, con i quali continuò a giocare.
Ogni tanto, prosegue la leggenda, Ondina si diverte a sbriciolare pezzi di arcobaleno, poi sceglie i colori e cosparge le cime dei monti di polvere rosa.